3o Simposio Svizzero per Traduttrici e Traduttori di Letteratura – La traduzione letteraria tra diritti e critica: il terzo simposio dell’AdS

Lo scorso 16 settembre 2011, nell’oblunga sala «Arsenale» del castello più grande (Bellinzona, giornata splendida, con un sole che neppure un attimo ha fatto dubitare di sé), si è svolto il terzo simposio per traduttrici e traduttori letterari, organizzato dall’AdS in collaborazione con Pro Helvetia, Übersetzerhaus di Looren e Centre de Traduction Littéraire di Losanna (CTL). Senza dimenticare il contesto in cui ha avuto luogo l’incontro: Babel, il festival bellinzonese di letteratura e traduzione che proprio in coda all’incontro avrebbe inaugurato la sua sesta edizione, dedicata alla Palestina. Una manifestazione che fa della Svizzera – le parole sono di Alberto Nessi (suo il saluto d’apertura del simposio) – «un paese aperto, contro le meschine tendenze alla chiusura e al nazionalismo».

Il programma del simposio si è concentrato su due temi specifici: i diritti d’autore e la critica della traduzione. Al primo intervento di Nessi, che ha lanciato le discussioni citando Walter Benjamin e la sua metafora geometrica sul tradurre (la traduzione come la tangente del cerchio, che prima si avvicina e poi si allontana), è seguita l’introduzione di Nicole Pfister Fetz, precisa nel segnalare le tappe cronologiche – in un resoconto non privo di accenni alle reazioni e agli umori degli ambienti interessati – della cosiddetta LPCu (Legge sulla Promozione della Cultura) e del Messaggio sulla cultura.

Primo conferenziere della giornata Werner Stauffacher, vice-direttore di ProLitteris, Società svizzera per i diritti degli autori d’arte letteraria e visiva. Al centro del suo discorso i diritti dei traduttori, troppo spesso ignorati o sottovalutati. In particolare, Stauffacher ha insistito sui diritti espliciti dei traduttori letterari, quelli cioè relativi al testo tradotto, considerato «opera di seconda mano» (per fare un esempio, oltre alla traduzione di un testo letterario, anche l’adattamento di un libro per un film è considerato opera di seconda mano) e quindi protetto. Ricordando inoltre che, mentre un testo può essere ceduto (via contratto), i diritti della personalità dell’autore non sono cedibili: l’autore e, di riflesso, il traduttore devono quindi essere sempre citati in modo visibile.

Dopo il pranzo comunitario (per così dire), è stata Theresia Prammer, traduttrice e critica tedesca, a prendere la parola. Un intervento molto diretto, duro e polemico, malgrado la presenza pacata e dalle tonalità uniformi della relatrice, che ha esordito spiegando come la traduzione letteraria non sia solo la cenerentola della letteratura, ma anche della critica letteraria. Le traduzioni – ha incalzato Prammer – sono troppo spesso soggette a perizie da parte di chi, in realtà, non ha vere nozioni in materia e si limita a giudicare secondo cliché e approssimazioni. Come si può, per esempio, criticare una traduzione quando non si conoscono le due lingue implicate? La critica deve essere più aperta e più attenta a distribuire verdetti che spingono il traduttore all’alienazione.

Ultimo appuntamento del programma una tavola rotonda moderata da Martin Zingg, con ospiti Dori Agrosì (redattrice responsabile della rivista elettronica «La Nota del Traduttore», www.lanotadeltraduttore.it), la traduttrice Yla von Dach, il critico Beat Mazenauer (ideatore, tra l’altro, del sito www.readme.cc) e la già citata Theresia Prammer. La discussione si è immediatamente focalizzata sulla critica della traduzione («visto che se ne parla poco, cominciamo da qui», ha esordito Zingg). Agrosì ha spiegato che la sua rivista vuole dare spazio ai traduttori proprio perché, «se c’è qualcuno che deve parlare di traduzione, è in primo luogo il traduttore ». Yla von Dach ha invece insistito su come sia complicato valutare un testo dall’esterno, visto che la traduzione «possiede diversi strati» ed è un «processo lento e profondo»: impossibile renderne conto superficialmente, bisogna considerare l’insieme. Beat Mazenauer ha ribadito quanto sia importante il rispetto per il traduttore, ma ha anche difeso il diritto al silenzio sulla traduzione quando non si conosce la lingua d’origine: «se leggo un libro tradotto – ha detto Mazenauer – e non sono disturbato dalla scrittura, e questo libro mi piace, perché non dovrei poterne parlare?». Theresia Prammer è poi ritornata sul «divario tra critica letteraria e critica della traduzione», che passa forzatamente per la conoscenza delle due lingue in questione; «è un’illusione – ha aggiunto – quella di credere di poter adattare tutte le lingue nella propria!».

Hanno chiuso il simposio Alberto Nessi e Nicole Pfister Fetz. Lo scrittore ticinese, alla luce delle discussioni precedenti, s’è dichiarato colpevole di non aver citato, in apertura, l’autore della traduzione di Benjamin di cui si era servito. «Credo – ha concluso scherzosamente Nessi – che si tratti di Renato Solmi. Anche se, ora che ci penso, quest’esitazione aggrava la mia posizione». (O forse no, perché è proprio Solmi l’autore della traduzione.)

Epilogo con passeggiata fino al «barBabel», di fianco al Teatro Sociale, per un aperitivo e una chiacchierata. Sotto un cielo forse già addormentato, il passante che avrà percorso Piazza della Foca tra le 17:30 e le 18 avrà senz’altro potuto sentire le allegre voci del crocchio (dove sta «la fragile vita», come scrive Aurelio Buletti in una sua bella poesia).

Yari Bernasconi


Yari Bernasconi, responsabile dell’edizione italiana della rivista letteraria svizzera «Viceversa» e direttore artistico del Service de Presse Suisse, lavora attualmente a una tesi di dottorato su Giorgio Orelli (Università di Friburgo). Nel 2009 ha pubblicato Lettera da Dejevo (Alla chiara fonte), la sua prima raccolta di poesie.

 

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